jeudi 24 mars 2016

Treni e autopostali

Linea 62.131

TILO e dintorni
Mi son trovato tra le mani, su segnalazione di un amico, un libretto edito da Casagrande, il cui titolo è Negli Immediati Dintorni: Guida letteraria tra Lombardia e Canton Ticino. Si tratta di ventiquattro storie, o forse è meglio dire ventiquattro ricordi di ventiquattro autori il cui filo conduttore comune è la linea ferroviaria del TILO: ”Il treno amico” Ticino-Lombardia. In realtà sono ventitré storie in prosa, cui si aggiunge un racconto grafico, squarci di vita sul treno colti a matita attraverso ritratti di anonimi utenti. Piacevole.
A me capita spesso di prenderlo il Tilo: quello vero e quello ideale.
Nel mio Tilo vero Bellinzona, Biasca, Locarno, Lugano (li dico in ordine alfabetico, per non offendere nessuno) sono i miei capilinea abituali. Qualche volta aggiungo Mendrisio; in un paio di occasioni anche Chiasso.  Mai però, finora, la linea intera Biasca-Milano. Il mio Tilo ideale, invece, è quello che dovrebbe andare fino a Goeschenen (e da lì, su fino alle piste di Andermatt), o magari fino ad Amsteg, in modo da prendere e deporre i passeggeri lungo le valli della vecchia linea. Sarebbe una vera e propria metropolitana regionale di montagna che permetterebbe la congiunzione delle località periferiche delle valli con le località centrali sia a nord, sia a sud del Gottardo. Dal lato turistico, d’inverno servirebbe le stazioni sciistiche presenti nel massiccio del Gottardo (Nara compreso), mentre d’estate, servirebbe i sentieri escursionistici sui pendii del Ticino, del Brenno e della Reuss. Anche se poi, è vero che d’estate, andar d’auto, è più facile. È qualcosa su cui riflettere adesso, perché il 2017, quando le Ferrovie federali non garantiranno più il mantenimento della vecchia linea ferroviaria, è dopodomani.

Ciao, grazie!
Van de Sfroos ha scritto anni fa una canzone sulla corriera (la “poschta”, diremmo noi). Anche in questa canzone, come nel libro sugli immediati dintorni, si tratta di storie di vita quotidiana, fatte di incessanti convergenze: stesse fermate, stesse persone alle stesse fermate, stessi incontri lungo la strada agli stessi orari. Inutile guardare l’orologio: quando incrociamo la Subaru nera del Giuan, sappiamo se siamo in orario, in anticipo o in ritardo. Se non la vediamo, allora sorge il dubbio: magari è domenica! Tò! Guarda! La Cesca, oggi ha messo i pantaloni: mi sa che arriva la neve. E la Rosy, dov’è? che avrà? Ieri tossiva: e poi, non ha più vent’anni.

 La corriera del Van de Sfroos potrebbe benissimo essere la Biasca-Olivone. Ogni linea ha le sue storie, i suoi passeggeri, i suoi autisti, le sue vicende che potrebbero essere raccontate, imperniate attorno alle strade oggi percorse dalle Autolinee Bleniesi. A me capita spesso, quando sono in zona, di prendere la tratta Olivone-Biasca (o Biasca-Olivone che dir si voglia) e comincio ad affezionarmici. Mi piace osservare i passeggeri, ascoltarli parlare con quella melodia e con quelle espressioni dialettali particolari da Biasca in su (o dal Lucomagno in giù?). Impossibile, per me, definirle, perché non sono un linguista: ma godermele, sì.

E poi è tutto un altro mondo per chi, come me, viene da una città come Ginevra: qui, sui tram e sui bus, nessuno parla e a volte siamo come sardine. Se qualcuno parla, magari forte, o è un gruppo di mendicanti Rom che torna dal lavoro o è un regolare cittadino che sta trattando i suoi affari al telefonino. Si entra nel veicolo … quando si può: si esce dal veicolo … quando si può! E l’autista? Per ora c’è ancora, ma prima o dopo toglieranno anche quello.

Sulla linea del “Tilo bleniese”, dicevo, è tutto un altro mondo. Un giorno salendo in valle, carico come un mulo, nel cambiare bus dimentico il mio zainetto! Troppo tardi, ormai siamo già ripartiti, ma lo dico all’autista che mi risponde”non si preoccupi”. Scendo ad Olivone e lì, senza nessuna complicazione particolare, non mi resta che aspettare lo zainetto: arriva con il bus seguente!  Un’altra volta (maledetto zainetto) lo dimentico sulla panchina della fermata di Olivone, e dentro c’è il mio computer di lavoro. Ci penso un attimo e poi ringrazio chi ha inventato il sistema di biglietti Arcobaleno: guardo gli orari, scendo ad Acquarossa, prendo la corrispondenza che risale ad Olivone, ritrovo il mio zainetto, ancora e sempre lì dove lo avevo abbandonato e, poco dopo, riprendo il bus seguente per Biasca e, con lo stesso biglietto valido, arrivo a Bellinzona. Chi, come me a volte è distratto, non può lamentarsi del servizio e dei suoi autisti.

C’è tuttavia qualcos’altro che dimostra la differenza di mondo che trovo quando prendo la “corriera” in Valle, sono due semplici parole: “ciao, grazie!”. Inevitabilmente, instancabilmente, ad ogni fermata la portiera si apre e lascia scendere il suo abituale numero di passeggeri: che siano persone di mezza età, anziani attempati, uomini, donne o adolescenti più o meno ribelli, tutti lanciano all’autista un (a volte) sonoro : “ciao, grazie!”.  E questo tutti i giorni. Chi guida un autobus, qui, non è un semplice autista, ma il capitano di una nave che ringraziamo per averci portato a buon porto. Un capitano che non manca d’autorità, come mi è capitato di costatare un mattino sul bus delle sette e mezzo, quello degli scolari della scuola media. Alla guida, una giovane autista dal fisico esile e sportivo. L’orda di preadolescenti sale e occupa i posti con la caratteristica vivacità di quell’età, tra vociferazioni varie e virili conquiste del seggiolino. Improvvisamente esplode un fischio assordante, degno delle marmotte di Predasca, seguito a ruota da una voce femminile e imperiosa: “o vi calmate o vi lascio qui!”. Da quel momento, da Olivone ad Acquarossa avremmo anche potuto ascoltare la radio. La vita degli autisti e delle autiste non è certo facile, tra gli orari irregolari, le stagioni, le condizioni meteo e i passeggeri a volte scorbutici, a volte incivili, ma quel “ciao, grazie” che continua a risuonare ad ogni fermata conferma quanto la gente, qui, consideri “la corriera” come un vero e proprio servizio pubblico. Che sia questa la “prospettiva villaggio” di cui parla il Tarcisio su Voce di Blenio?



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