Perché assegnare un nome ai luoghi ?
“Da bambino, nelle mie scorribande toponomastiche che mi lasciavano senza fiato davanti all’atlante, giunsi alla conclusione che se quei favolosi nomi fossero scomparsi dalla carta, i luoghi stessi sarebbero scomparsi”[1]
L’uscita poco tempo fa di due nuovi volumi del “Repertorio toponomastico
ticinese” (Menzonio e Bodio, per
esempio) e il successo di pubblico alle serate di presentazione meritano alcune
riflessioni attorno, appunto, ai nomi di luogo.
a. La riscoperta dei nomi
In un processo di appropriazione territoriale (che si tratti di
appropriazione semplice, di conquista o di riproduzione di uno spazio da parte
di un gruppo o di un individuo nel tempo), la denominazione è uno dei primi
atti fondatori. Il nome esprime una forma di conoscenza: esso fonda, nel frattempo,
il tipo di relazione all’ambiente e la trasmissione in seno al gruppo del senso
che ha (o dovrebbe avere) questa relazione.
“La denominazione referenziale non differisce probabilmente dalle altre strategie designative quale macchina bellica per combattere la paura, per vincere il timore di ciò che non si conosce e che potrebbe in ogni momento riservare indesiderate sorprese, pericolose novità. Con parole di H. Blumenberg, "ogni fiducia nel mondo comincia con i nomi […]: dando alle cose il nome appropriato si eliminerà l'inimicizia tra di esse e l'uomo, trasformandola in un rapporto di pura utilità. Lo spavento che ha ritrovato la parola è già superato”.”[2]
Cercare ed inventariare
vecchi toponimi, in un momento in cui stanno per essere persi perché le
pratiche spaziali che fanno loro da supporto sono sparite (o quasi), è molto
più di un approccio di ricerca storica: è rimettere o riaffermare – anche solo provvisoriamente
e “virtualmente” – un nome ad un luogo. Un luogo senza nome genera timore, quindi,
anche se ciò fosse artificiale (per esempio, un inventario che assuma in buona
parte una dimensione di curiosità locale), la riscoperta attuale di vecchi
toponimi può essere considerata un atto il cui scopo è di trattenere (riportare
al sociale, riportare al gruppo, quindi) una relazione allo spazio che tende –
oggi – a dilatarsi. Infatti, nulla impedirebbe oggi di utilizzare nomi di
natura matematico-geometrica per designare i luoghi (il metalinguaggio dei
sistemi d’informazione del territorio, per esempio, o la codificazione
catastale)[3].
Espressi in quel modo – astratto, ma senza dubbio più preciso che non i termini
linguistici e, soprattutto, di natura veicolare – significherebbe ammettere che
il nostro rapporto allo spazio è diventato definitivamente astratto[4].
In altri termini, ciò significherebbe negare completamente il dialogo sociale
con i luoghi: la morte del territorio, insomma! Ora, la toponimia riscoperta,
anche se non è più d’uso corrente in seno al gruppo, ha il merito di ricordare
alla memoria che il dialogo con il luogo di abitazione è di natura sociale.
Prova ne è, l’interesse da parte del pubblico.
Possiamo quindi domandarci
che senso abbia, allora, risuscitare i nomi di un tempo – essenzialmente rurali
– in un territorio contemporaneo e, perciò, profondamente impregnato dai valori
urbani. Facciamo una deviazione verso una riflessione più generale:
“Si tratta allora anzitutto di sottrarre se stessi al pericolo di perdersi. Sapere in ogni momento dove si è, dove è cosa in rapporto a cosa e situarsi in qualche modo rispetto a tale rapporto, equivale a placare una sete antichissima e imperiosa di conoscenza. D'altronde, la deriva fisica è indissociabile dall'erranza psicologica: l'una appare, anzi, come il riflesso appena dissimulato dell'altra. Avere la consapevolezza della propria posizione, sapere come conservare questa consapevolezza durante gli spostamenti, contribuisce a fabbricare, puramente e semplicemente, il sistema di sicurezze su cui si fonda la personalità: orientarsi sulla superficie terrestre equivale ad esorcizzare lo smarrimento interiore. Si tratta, ancora, di creare le condizioni per una mobilità efficiente. Ciò vuol dire spesso che il riferimento minimizza i tempi dello spostamento, oppure la fatica; ma talora ciò vuol dire che il riferimento garantisce la sicurezza: funzione che in certi contesti – si pensi ad esempio all'universo nomadico – è assolutamente cruciale per la vita e la stessa riproduzione del gruppo.”[5]
Se immaginassimo che il tempo storico è un
percorso nomade che seguiamo nel territorio della Storia, potremmo allora
assimilare il toponimo a quel punto di riferimento che ci serve ad evitare lo
smarrimento: fintanto che il nome esiste, esiste anche la nostra pratica del
luogo e noi con esso, fosse anche solo nell’immaginario. In questa analogia, lo
spostamento del nomade, al quale fa allusione Turco, corrisponde all’evoluzione
storica conosciuta dalle nostre società, le quali hanno abbandonato la loro
natura contadina o rurale per diventare progressivamente urbane. La loro
relazione allo spazio è così diventata, socialmente parlando, progressivamente
più astratta. Riattivare antichi toponimi, significa identificare antichi
indicatori che possono potenzialmente permettere di riorientarsi, anche solo
momentaneamente. In termini più semplici, significa interrogarsi sul passato
(attraverso il territorio) per sapere da dove si viene e capire dove si va!
Questi vecchi toponimi possono diventare strumenti atti ad “esorcizzare il
disorientamento interiore” di una comunità contemporanea.
b. la metamorfosi
Dal momento in cui il nome
è un riferimento non solo spaziale, ma anche temporale, questo vuol dire che è
di natura storica. Ogni nome riflette un luogo preciso, ma anche un momento
preciso: a quale epoca, appunto, risale? I toponimi stessi conoscono un’evoluzione,
sono dunque il frutto di trasformazioni o di ibridazioni dovute agli incroci di
popolazioni ed al passaggio del tempo sui luoghi: ne può addirittura risultare
un completo cambiamento di senso. Un esempio?
“Dal canto suo Génur (la prima documentazione sin qui nota riconduce all'anno 1375) è letteralmente una abbreviazione del termine cavàgia, cavagénur 'piccolo cavalletto, piccolo sostegno con relativa copertura di scisti'. Questa voce doveva in processo di tempo perdere la parte iniziale e dare appunto génur nel significato di 'piccola protezione, piccolo riparo montato su cavalletti, poi usato anche per l'uomo che passava l'estate all'alpeggio' […] In questa trafila di "rifacimenti" venne immesso anche Génur, che almeno a partire dal 1602 viene scritto Generoso, nel senso appunto di 'zona che ha a che fare con il Génur', ma anche per non pochi scrivani del tempo 'la zona generosa, bella'.”[6]
Insomma, se
si risale al primo significato di questo nome, possiamo costatare, da un lato,
come i termini si modifichino ortograficamente nel tempo e, dall’altro, come
cambiando significato, continuino ad essere l’espressione di un rapporto
sociale all’ambiente: nel XVII secolo, siamo in pieno in un momento dove il
concetto di paesaggio ha affermato la sua legittimità che, in seguito, il
turismo fisserà definitivamente fino ai nostri giorni. Il Monte Generoso è un
luogo-faro del turismo svizzero e del paesaggio ticinese dalla prima metà del
XIX secolo, ma soprattutto dalla costruzione della ferrovia Capolago-Monte
Generoso, nel 1890[7]
c. Esplorare i nomi
Una
conclusione a questo punto non avrebbe molto senso in quanto le righe
precedenti sono riflessioni sparse attorno ad un tema sul quale, con altri
colleghi, mi sto chinando. Tuttavia, bisogna pur sempre chiudere (conclusione:
con-chiudere?).
Possiamo
farlo pensando al perché “passeggiare” attraverso i nomi di luogo.
Prima di
tutto perché i nomi di luogo sono parte integrante dei paesaggi: ed i nostri
senza eccezione.
Poi, anche
perché sono all’ordine del giorno. Non ci sono solo i vecchi nomi, ma siamo
confrontati quotidianamente con operazioni di denominazione:
- - nuovi quartieri urbani, nuovi edifici (pubblici, ma anche privati), nuove strade o
vecchie strade che assumono un nuovo nome, ecc.
- - nuovi comuni nati da aggregazioni più o meno volute o imposte, con tutto il curricolo
di conflitti e di polemiche che coinvolgono gli abitanti.
Ognuno di
questi casi ha la sua caratteristica perché i designatori (di nomi) sono
diversi:
- - nel
primo caso, spesso, è l’autorità comunale o cantonale che ne è l’attore
principale;
- - nel
secondo caso, il ruolo della popolazione è più importante perché sono gli
abitanti ad esserne coinvolti sfociando
alla fine in una votazione popolare.
Come si
vede, i toponimi non sono solo storie di una volta, “anticaglie” nostalgiche,
ma sono fatti di attualità. Oggi, poi, abbiamo strumenti dinamici in grado di
riattivare la memoria sociale, quella dei (vecchi o nuovi) abitanti dei nostri
comuni: nomi “cristallizzati”, interiorizzati attraverso l’esperienza sociale
(e dunque storica) dei luoghi. Numerosi sono i ricercatori e i servizi
implicati in progetti il cui scopo è di trasporre nello scritto un’oralità
vernacolare come per esempio i “repertori toponomastici” o gli “archivi di nomi
di luogo” o, ancora, i progetti di “georeferenziazione”.
Tutte queste iniziative[8]
vanno oltre il semplice glossario: trasponendo queste informazioni nei sistemi d’informazione del territorio, si
possono raggruppare e localizzare i nomi di luogo, l’iconografia (immagini
fotografiche od altro), la cartografia, il rilievo, gli elementi di evoluzione
del paesaggio. In altri termini, il valore antropologico assunto dai luoghi e
quindi dall’ambiente.
[1] RUMIZ Paolo, 2007, La leggenda dei monti naviganti, Milano,
Feltrinelli, p. 313.
[2] TURCO Angelo, 2010, Configurazione della territorialità,
Milano, Franco Angeli, p. 90.
[3] Assomiglierebbe un po’ a quei
termini usati per identificare i geni o i virus in medicina. Tuttavia, in
Svizzera in ogni caso, le regole dell’Ufficio federale di topografia favoriscono
(ancora) l’uso di termini vernacolari per la trascrizione dei nomi di luogo
sulle carte.
[4] Si perderebbe, così, il
nostro statuto di abitante per non essere nient’altro che degli inquilini su di
un territorio che non ci apparterrebbe più.
[5] TURCO Angelo, 2010, op. cit., pp. 90-91.
[6] LURATI Ottavio, “Nomi dati
dalla gente ai luoghi sul Generoso e in Val di Muggio”, in CRIVELLI Paolo,
GHIRLANDA Silvia (a cura di), 2011, La
scoperta del Monte Generoso, Cabbio, Museo Etnografico della Valle di
Muggio, Locarno, Armando Dadò editore, pp. 169-170.
[7] Cf. FERRATA Claudio, 2008, La fabbricazione del paesaggio dei laghi,
Giardini, panorami e cittadine per turisti tra Ceresio, Lario e Verbano,
Bellinzona, Casagrande edizioni, 213 p.
Cf.
CESCHI Raffaello, “Il Rigi della Svizzera italiana”, in CRIVELLI Paolo,
GHIRLANDA Silvia (editeurs), 2011, La
scoperta del Monte Generoso, Cabbio, Museo Etnografico della Valle di
Muggio, Locarno, Armando Dadò editore, pp.23-28.
[8] Che alcuni politici (ticinesi « veri »)
sembravano recentemente trovare inutili al punto da tagliar loro i “viveri”!
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