vendredi 24 février 2012

L'incontro con i luoghi: l'esempio di Lisbona


L’incontro con i luoghi

L'incontro con i luoghi non è mai spontaneo: è sempre costruito e in costruzione. Costruito, perché la relazione ha sempre almeno due poli: da un lato, il viaggiatore e, dall'altro, il territorio del suo incontro. Il viaggiatore è sempre "pre-parato" sul luogo oggetto della sua visita: sia per via delle informazioni a sua disposizione prima della partenza, sia per le sue esperienze precedenti, sia per i suoi pregiudizi, sia, ancora, per via della propria ignoranza. Ma l'incontro è anche, e sempre, in costruzione, perché il soggiorno genera la necessità di completare le informazioni mancanti o, più semplicemente, perché il ricordo ricompone costantemente e periodicamente l'esperienza del viaggio attraverso il filtro della memoria.
"L'ombra del Vento non esiste solo per noi, come abbiamo potuto costatare prendendo un taxi a Barcellona. L'autista aveva appena terminato di leggerlo e ci ha offerto un piccolo giro per mostrarci dove, secondo lui, si trovavano le case che cercavamo. Più tardi, lo scrittore [Zafón, l'autore de L'Ombra del Vento] ci ha indicato punti diversi, a riprova che ognuno di noi ha la sua propria visione dei luoghi e degli avvenimenti del romanzo" (Burger S., Geel N., Schwarz A., 2007, Promenandes dans la Barcelone de L'Ombre du Vent, Paris, Grasset&Fasquelle, p. 5.)
Un luogo non ha mai lo stesso significato per tutti e il suo carattere non si rivela sempre a prima vista, ma spesso si impara a conoscerlo con il tempo, attraverso la sua frequentazione.

Lisbona
Lisbona mi attira, mi piace! Perché? Non vi è una risposta precisa, ma almeno due possibili.










Luogo dei colori

Lisbona mi attira forse perché i colori si intrecciano gli uni con gli altri.
Domina il rosso e l'arancione delle tegole e dei mattoni. E anche le pietre del castello, che sono grigie, esitano tra il giallo e l'arancione. Il giallo, che mi colpisce a causa delle ombre disegnate sulla parete dalle complicate figure di una scala esterna, sottolinea l'azzurro di un cielo macchiato dagli strascichi bianchi delle nuvole atlantiche. Questo blu intenso si ritrova negli azulejos che ricoprono ancora spesso le facciate di alcune case e di alcune chiese. Ma poi c'è il bianco che, come tutti sappiamo, non è un colore. Il bianco non esiste senza suo fratello gemello, il nero, e se il bianco si diffonde così "naturalmente" in questa città, è perché i suoi abitanti lo hanno saputo addomesticare, catturandolo e trasformandolo in colore. La pietra del monastero dei Geronimi a Belèm, o la torre dal medesimo nome, ne sono un esempio: una pietra grigia, ma di un grigio-bianco, ancora più accecante quando è battuto dal sole. Tuttavia, l'addomesticamento del bianco – l'addomesticamento della luce? – è soprattutto sotto i nostri piedi che si realizza! A Lisbona, bisogna abbassare gli occhi e imparare a guardare per terra: i marciapiedi sono "selciati" con piccoli cubi bianchi e neri. Questo miscuglio di bianco (dominante) e di nero crea tutta una serie di decorazioni, a volte puramente ornamentali, a volte per indicare l'entrata di una banca, di un albergo, di un'amministrazione, di un'impresa. Sono dei veri e propri indicatori stradali per pedoni, e quando l'impresa non esiste più (o ha traslocato), questi "azulejos pedestri" si trasformano in testimoni geografici di un'esistenza passata, un po' come le tracce fossilizzate dei dinosauri. Il verde accompagna tutti i colori. Giardini, siepi, alberi formano un quadro vegetale sparso qua e là e diluito in tutta la città, sovente racchiuso e protetto gelosamente dalle costruzioni. Quando non è all'angolo di una scalinata, è dietro una casa, nella sua corte interna (o in ciò che ne resta a causa della speculazione immobiliare) che troviamo questo colore fatto di aranci o di limoni, ma anche di un disordinato insieme di piante diverse, più o meno spontanee. Lisbona è una vera e propria città dei colori, nella quale anche il bianco e il nero lo diventano.





Luogo dove il tempo è sospeso

Lisbona mi attira, forse, anche perché, più di altre città, è uno spazio nel quale il tempo è sospeso. Essa ha un rapporto particolare con il tempo: qui, il tempo si è fatto spazio.
E’ solo al mio ritorno, quindi dopo il soggiorno, che ho letto Lisbona di Fernando Pessoa, il grande scrittore portoghese contemporaneo (Lisbonne, Paris, Editions 10/18, 2008). Si tratta di un libro-guida, che propone diversi itinerari ad un turista immaginario. Man mano che seguiamo Pessoa nei suoi percorsi, l'impressione che qui il tempo si sia fissato nella pietra si conferma: il passato, nella quantità di monumenti, di chiese e di palazzi e il futuro, nell'architettura contemporanea. Nulla mi sembra più emblematico del faccia-faccia tra l'arena dei tori di Campo Pequeno, costruzione rotonda in mattoni rossi risalente alla fine del XIXo secolo e ispirata alle costruzioni moresche di una volta e quel palazzo rosso-mattone, di un modernismo quasi arrogante, sede di una banca portoghese, insediato poco lontanto dall'arena. Passato e futuro sono ancorati in un presente di pietra. Qui, Gaia sembra prendersi gioco di Chton, la quale con una sola scrollata potrebbe demolire tutto, come fu il caso nel 1755. Poco importa: si ricostruirà, come ha fatto il Marchese di Pombal. Il terremoto del 1755 è senza dubbio il più spettacolare, anche sul piano simbolico (un primo di novembre!), ma non è stato il solo. La terra, impropriamente detta ferma, si muove regolarmente, come molti di noi hanno potuto sentire la notte tra il 16 e il 17 dicembre 2009, quando il letto della mia camera si è messo a "battere il tempo". Un'anziana collega mi confesserà, la sera seguente, che ogni volta si chiede se è solo un aggiustamento o l'inizio di una serie di scosse che andranno amplificandosi. Ecco, Lisbona è una città che costruisce "monumenti" di architettura contemporanea, con la certezza che saranno distrutti un giorno, non dal tempo, ma dalla terra stessa. Si costruisce oggi la nostalgia di domani. Non è forse, in un certo senso, lo spirito del Fado? Nostalgia di un tempo che fu, certamente, ma anche nostalgia di un tempo che verrà e che, a sua volta, non sarà più. La vita e la morte sono i motori della continuità dell'esistenza.

Ricordarsi

"[...] Lisbona crudelmente costruita sulla propria assenza". Così scriveva Sophia de Mello Breyner, oggi incisa in diverse lingue al Castelo de Saõ Jorge: è per questo che quella città fissa il tempo nella pietra?
Lisbona porta il nome di Ulisse, il viaggiatore: e cos'è un viaggiatore, se non un'assenza? Lisbona ci insegna forse che gli esseri umani hanno bisogno di trattenere questa assenza materializzandola attraverso sostituti di presenza: le costruzioni storiche oggi, le costruzioni moderne domani, le fotografie, le cartoline postali e, addirittura, quegli oggetti qualunque che ci portiamo a casa come ricordo, sono tutti riferimenti temporali di uno spazio attraversato, di uno spazio vissuto, fosse anche solo per un attimo.

Ginevra, 24 febbraio 2012





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